Perché, per apprezzare appieno questa bellezza, è infatti essenziale superare i pregiudizi e accogliere una visione che trascenda, all’opposto, i chiaroscuri e il bianco e nero – se ci si passa il calembour – delle nostre aspettative; davanti a queste opere, come peraltro davanti alla vita in generale, occorre quindi spogliarsi, non solo fisicamente ma anche nei confronti dei propri preconcetti, in un atto di rivelazione e accettazione che consenta di riscoprire il corpo umano in tutte le sue sfumature togliendosi sia i propri abiti sia le proprie maschere emotive, un atto di grande coraggio e autenticità. Questo gesto di esposizione non è solo un’offerta di sé, ma una vera e propria celebrazione della propria identità. In questo processo di scoperta e riparazione, rimediare ai propri errori e riparare le ferite emotive diventa essenziale per un’autentica espressione di sé…
Redressed dunque, rimediamo.
In questo percorso, che stiamo iniziando insieme a Luca Maria Castelli, rimediare e riparare le imperfezioni non sono infatti solo azioni pratiche ma anche opportunità per perfezionare e celebrare l’estetica della nostra forma. Il contrasto tra il colore vivace e il bianco e nero diventa così metafora della nostra percezione estetica dove il colore, con la sua ricchezza e varietà, rappresenta la complessità e la vivacità della bellezza umana, mentre il bianco e nero offre una visione chiara e sobria, evidenziando le linee pure e l’armonia del corpo. Il tutto condito con una sottile linea di ironia, ponendo “l’elemento gioco” come parte fondamentale di attivazione empatica.
Re(un)dressed, infine, ricompattiamo.
E qui sta tutta la connessione tra il lavoro di Castelli e i valori fondanti di Re-use With love: l’empatia, la nostra wild card, il jolly che tutto mette insieme per aiutarci a riconoscere e sostenere la bellezza in tutte le sue forme. L’armonia e la sensibilità dipendono in toto dall’empatia, che quindi si rivela come unica chiave di lettura per una visione di armonia – e sensibilità- come atto di profonda bellezza e umanità.
Un corpo nudo, svelato, suscita infatti in noi non solo empatia ma anche sicurezza e fiducia, i pilastri su cui costruiamo relazioni significative, edifichiamo contesti di solidarietà e armonia, realizziamo comunità coese e sensibili alle esigenze degli altri.
In definitiva, valorizzare ogni aspetto della bellezza del corpo, rimediare e riparare le sue imperfezioni, vivendolo con empatia, sono i modi che elevano la nostra comprensione e apprezzamento della forma umana in primis e dell’umanità in generale, in tutta la sua magnificenza.
E Luca Maria Castelli sa rendere molto bene tutto ciò. Il suo stile fotografico, che abbiamo avuto modo di apprezzare in tante collaborazioni precedenti con Re-use with love, è particolarmente appropriato per ritratto di nudo, con i suoi peculiari giochi di luce – sia nel colore che nel bianco e nero – che vengono dal lungo lavoro di ricerca dell’artista sulla fotografia analogica riversati nella tecnica digitale senza soluzione di continuità. Caratteristica di Castelli, come abbiamo avuto modo di dire in altre sedi, è infatti evitare quanto più possibile la manipolazione delle immagini, “usando” di base il suo sguardo personale per cogliere luci, colori, sfumature, contrasti, intervenendo molto raramente in postproduzione.
Frutto di attentissime ricerche su luoghi, orari di luce e lunghe sessioni di posa, le foto di Castelli lasciano a chi guarda il compito di “ritoccare” le immagini non solo con i nostri occhi, ma con il nostro cuore e le nostre emozioni, prima di tutto l’empatia poco fa citata. Non ci sono scuse. La maggiore responsabilità tocca a noi.
Dunque, guardiamole allora le fotografie di Luca Maria Castelli, avviciniamoci quasi a toccarle con il viso, cogliamone la sua poetica e la sua estetica visiva, proprio così come si sgranano davanti ai nostri occhi.
Il nostro sguardo salta da un’immagine all’altra: andiamo prima di tutto all’immagine simbolo della mostra: potente ed evocativa, la figura ripresa da dietro esibisce una schiena sinuosa in una elegante posa che evoca equilibrio e introspezione. La struttura anatomica, evidenziata dalla luce, diventa un paesaggio di curve morbide e linee decise e non può non ricordarci il celeberrimo Violon D’Ingres di Man Ray con la sua forma essenziale, dove l’assenza di dettagli distrattivi costringe l’osservatore a riflettere sulla bellezza intrinseca della figura stessa. La schiena, spesso simbolo di vulnerabilità, qui si trasforma in un manifesto di forza e equilibrio.
Poetiche e delicate poi sono le immagini guantate che dialogano tra di loro nel contrasto tra il dinamismo di una e la stasi dell’altra. L’uso dei guanti lavorati all’uncinetto poggiato sul corpo nudo introduce un elemento surreale che gioca sapiente sul contrasto tra la morbidezza della pelle e la trama rigida del guanto in una dualità che parla di protezione e fragilità. La luce, distribuita in modo da creare zone di ombra profonda, aggiunge quell’effetto drammatico alla composizione così caratteristico nell’opera di Castelli. Le pose, apparentemente casuali ma chiaramente studiate, esprimono un senso di abbandono, forse addirittura di contemplazione silenziosa. In questo contesto, il guanto diventa un simbolo enigmatico: rappresenta il tocco, il lavoro manuale o persino un confine tra ciò che è umano e ciò che è artificiale. Andiamo poi davanti ad una Naiade (ninfa dell’acqua) contemporanea con il suo leggiadro dinamismo di quel delizioso movimento attraverso l’acqua, dove la distorsione dovuta alla rifrazione aggiunge un elemento astratto e surreale e il gioco tra la chiarezza e la distorsione crea un’atmosfera unica, accentuando l’estetica fluida del corpo. E ancora, ci distorciamo anche noi ad accompagnare il movimento di un corpo accovacciato o di un altro ritorto, che tanto ci ricordano le pose plastiche delle statue di Bernini, dove l’uso del bianco e nero enfatizza al massimo il contrasto tra luce e ombra, evidenziando la texture della pelle e i dettagli della muscolatura dove le pose raccolte e curvate trasmettono introspezione e vulnerabilità, creando una connessione emotiva con l’osservatore. Drammatiche e intense, sono invece la figure adagiate, chi su una poltrona, chi su un divano, sensuali “Maya desnude” che riportano alla mente le posizioni dei nudi di Modigliani, dove però le tonalità si fanno più scure, la luce radente più incisiva e il “movimento” di mani e braccia evocano passione e tensione allo stesso tempo, come, per esempio il drammatico rosso che pervade la composizione del corpo sulla poltrona, sì audace ma che integra armoniosamente le linee del corpo con la curva della poltrona stessa. Fortemente plastiche sono poi le immagini dei corpi di spalle che enfatizzano la tridimensionalità della composizione, quasi sfondano la bidimensionalità del supporto, rilevando forza e delicatezza e bilanciando il dettaglio anatomico con un tocco di mistero. Il nostro sguardo si ferma poi divertito dalle alle immagini dove parti del corpo giocano con noi, quasi ci prendono in giro, con quell’aria ironica e scanzonata che le rendono al contempo divertenti e inaspettate, dove il tema dell’umorismo e del gioco prevale sull’elemento sensuale o provocante senza mai perdere d’occhio eleganza ed armonia: un piede e una mano che scappano dietro un cespuglio, due impertinenti gambe che in punta di piedi cercano di scoprire cosa c’è di là dal muro; la lettura del giornale mattutino in cui la compita nudità contrasta allegramente con un’ambientazione ordinata e “borghese”. Confessiamo di avere un debole per la foto che ritrae delle gambe che fuoriescono da una vasca, dove il contrasto tra la vasca bianca, la pelle della persona e il pavimento in marmo scuro, creano una composizione visivamente accattivante e, a nostro avviso, indicativa di quella capacità di Luca Maria Castelli di fare “narrazione visiva” di cui si accennava poco prima, deliziosa e seducente che invita l’osservatore a contemplare il rapporto tra il corpo e lo spazio, tra il comfort e la vulnerabilità. E come non provare una sensazione di purezza e semplicità davanti alla foto del corpo insaponato, che sembra quasi un particolare delle bellissime Bagnanti di André Derain, dove la schiuma ci porta dentro l’opera in momento condiviso di intimità quotidiana sottolineata dal sapiente occhio di Castelli dal sapone che crea una texture unica sul corpo, trasformandolo quasi in una tela in cui si stagliano le morbide linee della silhouette: un momento sospeso nel tempo, come in quasi tutte le opere dell’artista, dove il rituale quotidiano diventa simbolo di riflessione personale.
Insomma, ogni immagine, ripetiamo, si presenta a noi come attenta esplorazione della bellezza e della complessità della condizione umana, utilizzando elementi visivi per evocare emozioni e riflessioni profonde mai banali, sempre suggerite e mai urlate. Temi questi, peraltro, come si è già visto leggendo queste righe, che vengono da lontano, lontanissimo; la rappresentazione del nudo nell’arte ha una lunghissima storia, accompagna l’umanità da millenni, evolvendo nei secoli con significati diversi, dall’esaltazione del divino alla celebrazione della bellezza umana, fino alla provocazione e alla riflessione sociale. Ovviamente sarebbe troppo lungo in questa sede dissertare su uno dei temi, per l’appunto, più archetipici della storia dell’arte umana che vanno dalle Grandi Madri paleolitiche, passando – ça va san dire – per la vastissima statuaria greca e romana e via andando di secolo in secolo e di nudo in nudo fino all’esposizione in carne e ossa degli artisti stessi nelle performance contemporanee… basti solo per capire da quanto lontano viene questa ricerca di Luca Maria Castelli, che, prendendoci delicatamente per mano ci invita tutti a scoprirci senza paura, per riscoprire noi stessi, aprirsi all’esplorazione del sé, alla libertà, all’energia vitale, all’essenza.
E dunque, buon Re(un)dressed a tutti noi.
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